Capitolo II – laicità e libertà religiosa
-
costituzione e laicità dello stato
La qualificazione dello stato in materia religiosa negli ordinamenti contemporanei è spesso il frutto di un esame complessivo di ciascun sistema legislativo e quindi di una valutazione ponderata degli equilibri che caratterizzano le relazioni ecclesiastiche. A volte è la stessa costituzione di uno stato che si autoqualifica ma talvolta tale autoqualificazione può non essere del tutto veritiera o quantomeno insufficiente a cogliere le caratteristiche essenziali del sistema:
-
nell’ordinamento inglese, in virtù della legge dinastica, si dovrebbe parlare di cesaropapismo ma in realtà in Gran Bretagna la libertà religiosa dei cittadini è tutelata in modo speciale.
-
Negli stati del nord Europa la religione luterana è ancora religione di stato ma la libertà religiosa garantita ai cittadini non permette di qualificarli come stati intrinsecamente confessionisti.
In Italia la qualificazione dell’ordinamento in materia religiosa deve partire dal presupposto che si è voluta conciliare la tradizione di rispetto della libertà religione, quale maturata nell’esperienza SEPARATISTA, con un articolato sistema di contrattazione con le confessioni religiose (Patti Lateranensi per la chiesa cattolica e Intese per i culti non cattolici). La conciliazione tra CONTRATTUALISMO E LIBERTA’ RELIGIOSA ha portato alla enucleazione di tre direttrice fondamentali e gerarchicamente ordinate che caratterizzano la LAICITA’ del nostro ordinamento:
-
Laicità dello stato e libertà religiosa – con gli artt. 2,3,8, e 19 cost. si è affermato il diritto di libertà ed uguaglianza dei cittadini in materia religiosa che presiede, quale fondamentale diritto della persona umana, a qualunque regolamentazione del fenomeno religioso. In sede di costituente si è poi affermato l’indirizzo per cui la costituzione doveva essere NON IDEOLOGICA perché in essa e per essa fosse possibile una libera azione di tutti i movimenti ideologici che stanno sullo sfondo delle forze politiche stesse: vengono respinte le proposte di qualificare il matrimonio come indissolubile (art. 29), di prevedere costituzionalmente l’insegnamento cattolico nelle scuole, di aprire il testo costituzionale con l’invocazione del nome di dio. Come ha sottolineato la c. cost. con sent. 203/1989 la laicità è uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale (art. 8 TUTTE LE CONFESSIONI SONO EGUALMENTE LIBERE DI FRONTE ALLA LEGGE) ed è stato assunto nel suo più intimo significato di NEUTRALITÀ dello stato rispetto alle molteplici espressioni della fenomenologia religiosa.
-
Carattere sociale della religione e delle confessioni – lo stato supera l’equazione laicità = separatismo, riconoscendo le formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’uomo (art.2), si impegna a rimuovere gli ostacoli che limitando l’uguaglianza e la libertà dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art.3), sancisce il diritto di organizzarsi di tutte le conf. Religiose e si propone di entrare in rapporto con esse mediante ACCORDI che disciplinino le relazioni ecclesiastiche (art.8). Lo stato inoltre riconosce che è possibile e necessario intervenire a livello giuridico, sociale, finanziario per agevolare e favorire l’effettività del diritto di libertà religiosa da parte di cittadini e istituzioni confessionali. Proprio il riconoscimento del carattere sociale della religione porta alla distinzione tra fonti di derivazione UNILATERALE (solo ordo interno) e BILATERALE (partecipazione delle singole confessioni).
Contrasto tra prima e seconda linea direttrice → tensione tipica del diritto ecclesiastico.
-
Rapporto pubblico/privato – secondo la tradizione europea ottocentesca lo stato è il principale soggetto attivo e gestore dei servizi pubblici essenziali. In Italia, nonostante l’esperienza concordataria del ’29, le iniziative private in campo scolastico, educativo ed assistenziale sono rimaste fortemente minoritarie ed anche la costituzione ne riflette la situazione. Essa riconosce sì il ruolo dei privati ma antepone sempre le funzioni sociali dello stato e degli enti pubblici territoriali. La legislazione ordinaria è rimasta sino a poco tempo fa in linea con le posizioni ottocentesche: la legge Crispi del 1890, trasformando le opere pie in istituzioni pubbliche, ha lasciato uno spazio assai limitato alle iniziative privative; il potenziamento della rete scolastica pubblica ha fatto sì che le scuole private potessero solo ambire al riconoscimento di una parificazione, una volta assolti gli adempimenti amministrativi loro richiesti. La dottrina ha cercato di attenuare tale squilibrio elaborando una impostazione teorica secondo cui i servizi scolastici, educativi ed assistenziali devono essere concepiti in modo UNITARIO, a gestione pubblica e privata. Ne deriva un sistema integrato ove pubblico e privato costituiscono due aspetti del medesimo disegno e la dimensione privatistica viene agevolata con sostegni giuridici e finanziari → l’ostacolo principale ad accogliere questa impostazione era la diffidenza verso il carattere confessionale di molte iniziative private MA l’esperienza degli ultimi due decenni ha visto il grande sviluppo del VOLONTARIATO e ha fatto emergere soggetti diversi, non sempre confessionalmente ispirati: un IMPEGNO CHE è PRIVATO E SOCIALE INSIEME. Il sistema italiano è attualmente investito da una vera ondata riformatrice, volta ad accentuare una vasta deregulation ed a favorire quei modi di libertas privatorum che risultava sacrificata dalla forma di stato ereditata dall’800:
-
l. 382/2000 ha cancellato la legge Crispi dando qualche attuazione al principio di sussidiarietà in tutto il campo assistenziale e delle attività sociali.
-
d. lgs. 460/1997 ha accolto le attività di volontariato in un orizzonte di promozione, garanzia e di reale favore fiscale.
Queste tre linee direttrici possono essere sintetizzate nella qualifica di STATO LAICO SOCIALE del nostro ordinamento.
-
Stato laico sociale e fonti del diritto ecclesiastico
La qualificazione dello stato in materia religiosa, condiziona le fonti del diritto ecclesiastico interno:
a. lo stato separatista rifugge dall’instaurare rapporti con le chiese e le sottopone a un diritto comune che le considera in modo paritario. Lo stato laico separatista conosce una legislazione ecclesiastica unilaterale e le fonti confessionali non hanno rilevanza giuridica diretta salvo che non siano richiamate espressamente in qualche legge dello stato ma sono cmq considerate alla stregua di norme statuarie ossia di norme che disciplinano privatisticamente le singole confessioni religiose.
b. gli ordinamenti confessionali (nord Europa, Grecia) disciplinano le rispettive religioni di stato a livello costituzionale, di leggi fondamentali o dinastiche. L’ordinamento confessionale della religione ufficiale ha notevole rilevanza giuridica statale in quanto immediatamente richiamato dalla legge civile.
-
negli ordinamenti dei paesi cattolici (ma ultimamente anche in Germania e in alcuni paesi del centro e dell’est europeo) si registra una commistioni di fonti unilaterali statali e di fonti di derivazione bilaterale, originariamente di tipo concordatario (in Germania invece accordi). Per gran parte del XX secolo questo sistema ha visto il ritorno della rilevanza giuridica diretta del Codex Iuris canonici, almeno in materie come quella matrimoniale e nei rapporti gerarchici all’interno della categoria clericale. Con il crollo dei totalitarismo lo stato si è riappropriato del suo carattere laico e pluralista → la rinascenza democratica ha indotto ad estendere il metodo della bilateralità anche ad altri culti acattolici. In tali paesi si ha un complesso sistema delle fonti di diritto ecclesiastico:
-
fonti unilaterali fondamentali (carte costituzionali e leggi fondamentali sulla libertà religiosa)
-
fonti bilaterali di tipo concordatario (c. cattolica) e per intesa (o accordo) per le altre confessioni.
Per tutti questi ordinamenti il sistema delle fonti deve comunque ritenersi come integrato dalle norme di diritto internazionale a livello di convenzioni, trattati, dichiarazioni etc.
L’ordinamento italiano è caratterizzato da una pluralità di fonti di diritto ecclesiastico connotata da una FORTE RIPETITIVITA’ → tale fenomeno trova la una ragione di carattere generale in quella svolta di reazione contro tutti i totalitarismi, le infinite violazioni di diritti umani che si è verificata nella II metà del ‘900. Ciascuna confessione, quasi nel timore che un giorno la costituzione italiana potesse venir meno, ha chiesto ed ottenuto di ripetere, nel rispetto del testo pattizio, diritti di libertà e garanzie di autonomia, già contenuti nella costituzione o nelle fonti di diritto internazionale. Altre ragioni del moltiplicarsi di tali fonti sono:
-
gli accordi principali tra stato e chiese hanno rinviato a successive intese, al fine di elaborare una dettagliata normativa di attuazione.
-
La considerazione sociale del fenomeno religioso ha provocato una ulteriore attenzione del legislatore per esigenze di carattere confessionale che un tempo o erano trascurate o erano relegate all’iniziativa del singolo nella sua sfera privata.
Fonti di diritto internazionale → alcune delle quali entrano a far parte del ns ordinamento tramite il meccanismo ex art. 10 costituzione:
-
dichiarazione universale dei diritti universale dei diritti dell’uomo (1948) all’art. 18 prevede che ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e riconosce il principio per cui devono essere garantite le minoranze etniche, religiose o linguistiche. Si investe l’istruzione del compito di promuovere ed educare alla comprensione, alla tolleranza, all’amicizia tra le nazioni, i gruppi razziali e religiosi e di favorire l’opera delle nazioni unite per il mantenimento della pace.
-
Dichiarazione sulla eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o la convinzione (1981) sancisce come l’educazione dei fanciulli debba aver luogo conformemente ai voleri della famiglia ma che debba svilupparsi i uno spirito di comprensione, tolleranza ed amicizia tra popoli.
-
Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) sancisce che in quegli stati ove esistono minoranze gli individui ad esse appartenenti non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare la propria religione o di usare la propria lingua.
Le fonti di diritto interno possono essere distinte in:
-
fonti unilaterali statali
-
fonti costituzionali
la costituzione repubblicana contiene i principi ispiratori della politica ecclesiastica dello stato e detta le norme inderogabili che ne disciplinano le diverse manifestazioni del fenomeno religioso.
-
fonti ordinarie generiche
fonti che disciplinano materie più ampie e diverse rispetto a quella ecclesiastica ma che contengono norme direttamente o indirettamente attinenti a qualche aspetto religioso o confessionale. Ad esempio i codici di merito e di procedura che regolano gli edifici di culto, il segreto dei ministri di culto, i delitti contro la religione, le leggi sul divorzio e la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso, i diversi tipi di obiezione di coscienza, i rapp. Familiari, l’assistenza religiosa nelle strutture obbligatorie, la libertà religiosa a lavora, a scuola e in ambito militare.
-
fonti ordinarie specifiche
disciplinano direttamente alcune materie ecclesiastiche o confessionali. La principale è la Legge sull’esercizio dei culti ammessi nello stato (1159/1929) che disciplina le confessioni diverse dalla cattolica che non abbiano stipulato intese con lo stato.
-
legislazione regionale
-
fonti di derivazione bilaterale
-
Patti lateranensi 1929 come riformati il 18 febbraio 1984 e richiamati dall’art. 7 cost. Essi si compongono essenzialmente del TRATTATO DEL LATERANO che risolve definitivamente la questione romana e del CONCORDATO che regola la questione della chiesa cattolica in Italia. Con la riforma del 1984, è stato abrogato l’art. 1 che definiva il carattere confessionista dello stato italiano ed è stato integralmente riformato il Concordato. Sono state in seguito elaborati TESTI PATTIZI che danno attuazione a principi e norme del concordato in specifiche materie. Il più importante è la l. 222/1985 (l. fotocopia) recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero. Essa è stata elaborata da una commissione paritetica italo-vaticana prevista dal concordato dell’84 ed i suoi contenuti sono entrati sia nell’ordinamento italiano che in quello canonico.
-
Intese subconcordatarie tra le principali vi è quella per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (1985), intesa relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso (1996), intesa sull’assistenza spirituale al personale della polizia di stato (1999), intesa relativa alla conservazione e alla consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche degli enti e istituzioni ecclesiastiche (2000), intesa relativa ai beni culturali di interesse religioso (2005).
-
intese con i culti acattolici richiamate dall’art. 8,3 cost. ed elaborate e stipulate dal 1984, in attuazione del detto articolo e approvate con relativo disegno di legge: nel 1984 con la Tavola Valdese, nel 1988 con l’unione delle chiese avventiste, nel 1989 con le assemblee di dio in Italia (pentecostali), 1989 con l’unione delle comunità ebraiche italiane, nel 1995 con l’unione cristiana evangelica battista d’Italia, nel 1995 con la chiesa evangelica luterana in Italia.
-
libertà religiosa e processi di integrazione europea
I processi di integrazione europea sono essenzialmente due:
-
processo di unificazione che, attraverso l’Europa dei 15, si va realizzando attorno all’UE, cui corrispondono gli organismi comunitari e che ha come massimo organo giurisdizionale la corte di giustizia di Lussemburgo.
-
Integrazione che riguarda un più vasto panorama di stati che si raccolgono intorno al consiglio d’europa che ha come punto di riferimento la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 1950) e che ha nella corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo il massimo organo giurisdizionale → il 7 dicembre 2000 è stata firmata la carta dei diritti fondamentali dell’UE che, pur non avendo carattere vincolante, costituisce il punto di riferimento per i futuri sviluppi dell’UE e per la giurisprudenza della corte di Lussemburgo.
Il primo principio fondamentale per la disciplina del fenomeno religioso è desumibile in negatovio dalle competenze dell’UE → la concreta disciplina delle materie ecclesiastiche sono di ESCLUSIVA COMPETENZA dei singoli stati membri. Ciò è confermato dal fatto che nella convenzione del 1950 quando è enunciata solennemente la libertà religiosa non fa alcun riferimento alle relazioni che possono stabilirsi tra stato e confessioni religiose. Tuttavia gli organismi comunitari sono sempre più capaci di incidere sulla legislazione ecclesiastica dei singoli stati sotto il profilo
-
SOSTANZIALE:
– l‘Ue si ispira a principi di libertà, democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché dello stato di diritto. Essa si impegna al rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà fondamentali quali principi che sono comuni agli stati membri e dei diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli stati membri. Il diritto di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni non può essere oggetto di altre restrizioni se non quelle, previste dalla legge, che costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza pubblica, la protezione dell’ordine pubblico, della salute pubblica o della morale pubblica o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui→ la convenzione di Roma sancisce il principio di libertà religiosa, di pensiero e di coscienza e di non discriminazione e ciò senz’altro può favorire quel processo di assimilazione e omogeneizzazione dei diritti di libertà che è uno dei traguardi dell’integrazione europea.
– diverse direttive e regolamenti hanno ad oggetto materie che incidono, direttamente o indirettamente, su questioni confessionali e che possono interferire con la legislazione ecclesiastica dei singoli stati → direttiva 1974 n. 577 consente di tener conto delle particolarità proprie a certi riti religiosi in materia di previo stordimento per la macellazione degli animali; direttiva 89/104 rifiuta la possibilità di registrare un marchio che contenga un simbolo religioso; direttiva 00/78 garantisce che la disciplina lavoristica proposta non recherà pregiudizio al diritto delle chiese di richiedere ai propri dipendenti un atteggiamento di buona fede e lealtà verso l’etica dell’organizzazione.
– atti politici come le risoluzioni del parlamento europeo in tema di tutela delle minoranze religiose, della libertà di istruzione, di impegno contro la metodologia adottata da certe organizzazioni settarie. La dichiarazione 4 annessa al trattato di adesione della Grecia ha rilievo in quanto riconosco lo status speciale del Monte Athos, una sorta di enclave del territorio greco, sede di celebri monasteri ortodossi, e che, per antica tradizione, fruisce di un regime giuridico del tutto particolare, di per sé lesivo di alcuni diritto fondamentali, essendo negato il diritto di accesso e circolazione alle donne o a soggetti eretici o scismatici.
-
GIURISDIZIONALE: occorre però distinguere tra UE e Consiglio d’Europa. Circa l’UE esiste una ipotesi sanzionatoria a livello di stati (art. 7 TUE) per cui in caso di violazione grave e persistente da parte di uno stato membro dei principi di cui all’art. 6, 1 si può dar luogo ad una procedura avviata da un terzo degli stati o dalla commissione europea → Il consiglio, riunito nella composizione dei capi di stato/governo, previo parere del parlamento, dopo aver invitato il governo dello stato interessato a presentare osservazioni, può CONSTATARE l’esistenza di tale violazione. Successivamente, possono adottarsi, a maggioranza qualificata del consiglio, sanzioni quali la SOSPENSIONE DI ALCUNI DIRITTI DERIVANTI ALLO STATO DALL’APPLICAZIONE DEL TRATTATO DELL’UE, come quello di voto del proprio rappresentante europeo nel consiglio.
– la corte di giustizia di Lussemburgo nel tempo ha acquisito la piena competenza valutare la congruità dell’ordinamento comunitario rispetto alla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali. In tal senso essa giudica dei ricorsi presentati da chi si senta leso dalle normative o da atti comunitari in relazione ai propri diritti o da chi lamenta una lesione della normativa comunitaria dal parte della rispettiva legislazione nazionale → ad esempio una cittadina inglese di religione ebraica ha lamentato che un concorso comunitario coincidesse con una festività ebraica (Chavouth) e la corte ha sancito che se un candidato informa l’autorità che ha il potere di nomina che, per ragioni d’indole religiosa, non potrà presentarsi agli esami in una certa data, l’autorità dovrà tener conto e cercare di evitare di stabilire prove d’esame in tale data. Nel concreto il ricorso è stato respinto perché la candidata di religione ebraica non aveva fatto tempestivamente presente la propria situazione.
– la corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo giudica essenzialmente sulla base della convenzione del 1950 e ad essa possono ricorrere tutti i cittadini (ma anche persone giuridiche esponenziali di interessi religiosi/filosofici) che abbiano esperito tutti i rimedi giurisdizionali nel proprio ordinamento nazionale. Su tali basi essa ha sviluppato una notevole giurisprudenza da cui emerge la prudenza con cui gli organismi europei intervengono nelle questioni interni ai vari stati → esempio nella sent. Kokkinakis del 25 maggio 1993, a conclusione di un giudizio attivato da un cittadino greco condannato per reato di proselitismo, la corte ha censurato la pronuncia giudiziaria greca, rilevandola contraria al principio fondamentale che tutela il diritto di libertà religiosa, ma anche rilevato che nel caso di specie siano inesistenti quelle ragioni sociali e nazionali cui la corte è particolarmente sensibile. La corte evita poi di censurare la normativa greca sulla cui base il ricorrente aveva subito la condanna, ritenendo legittima la distinzione tra proselitismo buono e abusivo e recependo così nella sostanza il ragionamento dei giudici greci.