CAPITOLO VI – I PROCEDIMENTI INTERISTITUZIONALI
1. Il finanziamento dell’Unione europea
Di particolare rilevanza, per la vita e lo sviluppo dellʼUnione europea, sono il bilancio, lʼadozione degli atti dellʼUnione, la conclusione degli accordi internazionali della stessa Unione.
Per quanto riguarda il bilancio, la materia è regolata, oltre che dal Trattato sul funzionamento dellʼUnione europea (artt. 310-324), dal regolamento finanziario n. 1605/2002 del Consiglio e da accordi interistituzionali fra le tre istituzioni politiche (parlamento, consiglio, commissione). Un ruolo importante, anche ai fini del riequilibro dei poteri del Parlamento europeo in merito all’approvazione del bilancio, hanno avuto:
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il Trattato di Lussemburgo del 1970, che modificava i trattati originari conferendo maggiori poteri al Parlamento in materia di bilancio,
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Il trattato di Bruxelles del 1975, che ampliava ulteriormente tali poteri e istituiva la Corte dei conti. Il bilancio dellʼUnione è composto dalle entrate e dalle spese.
Il bilancio dell’Unione è composto dalle entrate e dalle spese → art. 310 par. 1,1 TFUE “Tutte le entrate e le spese dell’Unione devono costituire oggetto di previsioni per ciascun esercizio finanziario ed essere iscritte nel bilancio”.
In base al principio di equilibrio delle entrate e delle spese → “nel bilancio, entrate e spese devono risultare in pareggio”.
Diversa è la disciplina relativa alla determinazione sulle entrate e a quelle sulle spese:
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Sulle spese significativi sono i poteri progressivamente acquisiti dal Parlamento europeo il quale, con il Trattato di Lisbona, ha raggiunto pari poteri di decisione con il Consiglio.
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Le entrate sfuggono ai suoi poteri e sono sostanzialmente decise dai governi degli Stati membri → Lʼart. 311, 2° comma, TFUE dichiara che “il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie”.
Tale norma, relativamente al finanziamento dellʼUnione europea adotta quindi il sistema delle risorse proprie:
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Originariamente il finanziamento della CEE e della CEEA proveniva da contributi obbligatori degli Stati membri, che questi erano tenuti a versare secondo parametri fondati sulla loro rispettiva importanza politica ed economica.
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Oggi, invece, è lʼUnione europea che decide in maniera autonoma le fonti di finanziamento senza dipendere più dai pagamenti dei contributi degli Stati membri. Il sistema, dunque, tende a rendere lʼUnione totalmente indipendente dagli Stati membri.
Malgrado lʼindipendenza e lʼautonomia che il sistema delle risorse proprie è volto a garantire, le decisioni sulle fonti e la misura di tali risorse sono adottate con un procedimento che implica sostanzialmente un accordo tra gli Stati membri → le decisioni sulle entrate dellʼUnione richiedono anzitutto lʼunanimità degli Stati membri nel Consiglio. Inoltre il Consiglio adotta una decisione, ma la sua efficacia è subordinata allʼapprovazione espressa di ciascuno Stato membro, in forme analoghe alla ratifica di un accordo internazionale, secondo le proprie norme costituzionali (art. 311,3 TFUE).
Pertanto, il sistema delle risorse proprie, se affranca lʼUnione dai contributi degli Stati membri, non la rende propriamente indipendente da questi ultimi → gli Stati membri non hanno più la possibilità di rifiutarsi di finanziare lʼUnione, ma hanno ancora il potere di decidere quali risorse destinare ad essa. Un ruolo del tutto marginale nella determinazione delle entrate dellʼUnione è riconosciuto al Parlamento europeo, che ha un potere meramente consultivo.
Tuttavia, se il procedimento di definizione delle risorse proprie appare poco democratico a livello europeo, il riferimento alle costituzioni statali ai fini dellʼapprovazione delle deliberazioni del Consiglio da parte degli Stati membri comporta che tale approvazione sia subordinata a una manifestazione di volontà dei rispettivi parlamenti.
Il TFUE, nello stabilire che il bilancio è finanziato integralmente tramite risorse proprie, fa salve le altre entrate → che hanno portata residuale e comprendono, tra le altre, le trattenute sulle retribuzioni dei dipendenti dellʼUnione, le ammende alle imprese, le somme forfettarie o penalità dovute da Stati ex art. 260 TFUE, i contributi degli Stati membri, lʼassunzione di prestiti, ecc.
Quanto alle risorse proprie, esse sono le seguenti:
a) i prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi sugli scambi con Paesi terzi, nonché contributi ed altri dazi nellʼambito dellʼorganizzazione comune dei mercati dello zucchero;
b) unʼaliquota uniforme sullʼimponibile IVA di ciascuno Stato membro, determinato secondo regole europee e limitato al 50% del suo reddito nazionale lordo;
c) unʼaliquota del reddito nazionale lordo degli Stati membri da fissare annualmente nel bilancio. È stato osservato dalla dottrina che la prima entrata dà luogo a un vero e proprio potere impositivo in capo allʼUnione, mentre quelle derivanti dallʼIVA e dallʼaliquota sul reddito nazionale lordo si riducono a contributi che gli Stati membri devono obbligatoriamente versare allʼUnione.
La riscossione delle entrate è effettuata dagli Stati membri, i quali intrattengono una certa percentuale a titolo di spese di riscossione → gli stati hanno un obbligo che va adempiuto con modalità tali da assicurare una efficacia non inferiore al sistema statale di riscossione di oneri nazionali dello stesso tipo (sent. 27 marzo 1980 corte di giustizia).
2. I principi relativi al bilancio
La formazione del bilancio dellʼunione deve conformarsi a taluni principi.
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Lʼart. 310, par.1, 1° comma, TFUE enuncia anzitutto il principio della unità del bilancio, stabilendo che in esso devono essere comprese tutte le entrate e le spese. Sono escluse dal bilancio dellʼUnione le spese derivanti da operazioni che hanno implicazioni del settore militare e della difesa, e le spese (diverse da quelle amministrative sostenute dalle istruzioni) derivanti dallʼattuazione di una cooperazione rafforzata.
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Correlato al principio dellʼunità è quello della universalità del bilancio, secondo il quale lʼinsieme delle entrate deve coprire indistintamente lʼinsieme delle spese, senza possibilità di destinare determinate entrate alla copertura di talune spese specifiche e, per altro verso, non pu esservi compensazione fra entrate e spese (divieto di contrazione).
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Un ulteriore principio relativo al bilancio è il quello della annualità, secondo il quale lʼesercizio finanziario ha inizio il 1° gennaio e si chiude al 31 dicembre (313 tfue). Il bilancio, dunque, deve contenere tutte le entrate e le spese previste per lʼanno al quale si riferisce. Eccezioni sono previste per i programmi o le azioni dellʼUnione destinate a realizzarsi in un arco di tempo pluriennale.
Dal 1988 il bilancio annuale si colloca nel quadro di una programmazione pluriennale oggetto di un accordo interistituzionali tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Il Trattato di Lisbona consacra tale prassi prescrivendo la definizione di un quadro finanziario pluriennale, al cui rispetto è subordinato il bilancio annuale.
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Un altro principio generale del bilancio è quello di specializzazione (o specificazione), in base al quale le risorse del bilancio sono affidate alla gestione soltanto per gli scopo previsti in modo sufficientemente dettagliato dal bilancio.
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Lʼart. 310, par. 1, 3° comma, stabilisce che entrate e spese devono risultare in pareggio → da ciò discende il principio del pareggio (o equilibrio) del bilancio, che comporta il divieto per lʼUnione di ricorrere al prestito per coprire eventuali disavanzi. A ciò si ricollega la prescrizione in virtù della quale lʼUnione, prima di adottare degli atti, deve assicurarsi che essi abbiano una copertura finanziaria.
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Un altro principio generale è, infine, quello della buona gestione finanziaria (art. 317) al quale devono attenersi sia la Commissione, che cura l’esecuzione del bilancio, sia gli Stati membri, nel cooperare con la Commissione. Il principio è precisato nel regolamento finanziario del 25 giugno 2002 il quale pone le c.d. tre “e”, cioè i principi di economia, efficienza ed efficacia,
N:B.
Oltre alla previsione di spesa è necessario, perché vi possa essere una azione dell’unione, che l’azione sia contemplata da un atto obbligatorio dell’unione. Ciò è confermato dal regolamento finanziario 1605/2002 che dichiara che per l’esecuzione degli stanziamenti iscritti in bilancio per qualsiasi azione dell’Unione deve essere preliminarmente adottato un atto di base, inteso come atto di diritto derivato che conferisce fondamento giuridico all’azione dell’unione e all’esecuzione della spesa corrispondente iscritta nel bilancio → il trattato di Lisbona ha recepito tale normativa nel TFUE ed infatti l’art. 310 par. 3 prescrive che L’ESECUZIONE DI UNA SPESA SIA PRECEDUTA DALL’ADOZIONE DI UN CORRISPONDENTE ATTO OBBLIGATORIO.
3. L’approvazione e l’esecuzione del bilancio
Lʼapprovazione del bilancio è disciplinata dallʼart. 314 TFUE, il quale, a seguito di una serie di modifiche rispetto al testo originario dei Trattati, consacra il Parlamento europeo e il Consiglio come due rami dellʼautorità di bilancio. Il Trattato di Lisbona ha modificato sensibilmente la disciplina del bilancio la quale, in precedenza, ruotava intorno alla distinzione tra spese obbligatorie, cioè derivanti obbligatoriamente dal Trattato sulla Comunità europea, e spese non obbligatorie: per le prime lʼultima parola spettava al Consiglio, per le seconde al Parlamento europeo. Il Trattato di Lisbona ha eliminato la distinzione, ponendo così sullo stesso piano le due autorità di bilancio, ed ha semplificato la disciplina relativa all’approvazione del bilancio. A seguito delle riforme effettuate dal Trattato di Lisbona, lʼart. 312 TFUE prescrive formalmente lʼadozione del quadro finanziario pluriennale, il quale assumere una funzione decisiva in merito alle spese dellʼUnione, poiché esso fissa gli importi dei massimali annui degli stanziamenti per impegni relativi ad ogni categoria di spesa. Le determinazioni del bilancio annuale sono così subordinate alle decisioni assunte nel quadro finanziario pluriennale, che diventa la sede realmente decisiva delle scelte politiche e finanziarie. Riguardo lʼadozione di tale quadro finanziario pluriennale, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione prendono ogni misura necessaria a facilitarne lʼadozione. Esso è determinato mediante un regolamento adottato dal Consiglio (secondo una procedura legislativa speciale) allʼunanimità e previa approvazione del Parlamento europeo, a maggioranza dei suoi membri (salva la possibilità che il Consiglio europeo, allʼunanimità, decida di consentire al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata). Va notato che, sebbene il Parlamento europeo possa condizionare lʼadozione del quadro finanziario, esprimendo o meno la sua approvazione, la necessità di una votazione unanime nel Consiglio tende a spostare il fulcro del processo decisionale a livello intergovernativo nello stesso Consiglio.
Lʼapprovazione del bilancio annuale dellʼUnione prevede una complessa procedura che vede coinvolti il Parlamento europeo e il Consiglio, congiuntamente, secondo una procedura legislativa speciale prevista dallʼart. 314 TFUE:
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entro il 1° luglio di ogni anno, ciascuna istituzione (ad eccezione della Banca centrale europea) elabora uno stato di previsione delle spese per il successivo anno finanziario. La Commissione raggruppa tali previsioni in un progetto di bilancio, comprendente una previsione delle entrate e delle spese, nel quale pu fare anche previsioni divergenti rispetto a quelle elaborate dalle varie istituzioni.
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Tale progetto viene proposto entro il 1° settembre (dellʼanno precedente a quello di esecuzione del bilancio) al Parlamento europeo e al Consiglio da parte della Commissione, che può modificarlo fino allʼeventuale convocazione di un comitato di conciliazione.
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Il primo esame del progetto di bilancio è fatto dal Consiglio che, entro il 1° ottobre, comunica la sua posizione al Parlamento europeo, motivandola in modo esauriente.
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Entro i successivi 42 giorni il Parlamento europeo può approvare la posizione del Consiglio, nel qual caso il bilancio è adottato. Lʼadozione avviene anche nellʼipotesi in cui entro tale termine di 42 giorni, il Parlamento non abbia deliberato alcunché (c.d. silenzio- assenso).
Entro il termine di 42 giorni può emergere, al contrario, un dissenso del Parlamento rispetto al progetto inviatogli dal Consiglio, che si manifesta con lʼadozione di emendamenti (alla maggioranza dei componenti dello stesso Parlamento europeo) → questo caso il progetto emendato è trasmesso al Consiglio, il quale, entro 10 giorni, può approvare tutti gli emendamenti del Parlamento. In caso contrario si apre una fase dinanzi ad un comitato di conciliazione, formato dai membri del Consiglio o dai loro rappresentanti e da altrettanti rappresentanti del Parlamento europeo e con la partecipazione della Commissione, che prende ogni iniziativa necessaria per favorire un riavvicinamento tra le posizioni del Parlamento e del Consiglio:
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Compito del comitato di conciliazione è di giungere, entro 21 giorni dalla sua convocazione, a un accordo su un progetto comune, a maggioranza qualificata dei membri (o rappresentanti) del Consiglio e a maggioranza 60 dei rappresentanti del Parlamento.
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Qualora il Comitato di conciliazione non pervenga a tale accordo il progetto va considerato respinto e la Commissione deve sottoporre un nuovo progetto di bilancio.
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Se, invece, entro i 21 giorni si raggiunge nel comitato di conciliazione un accordo, il Parlamento europeo e il Consiglio dispongono di 14 giorni per approvare il progetto comune. Entro il suddetto termine di 14 giorni possono verificarsi varie possibilità:
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Può accadere anzitutto (ed è questa lʼipotesi più probabile) che sia il Parlamento che il Consiglio approvino espressamente il progetto comune: in questo caso il bilancio è definitivamente adottato (lett. a).
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Se, al contrario, il progetto comune è respinto sia dal Parlamento ( maggioranza dei suoi membri) che dal Consiglio, oppure se una delle due istituzioni respinge il progetto mentre lʼaltra non riesce a deliberare, il progetto è respinto e la Commissione deve presentarne uno nuovo (lett. b).
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Il progetto è bocciato anche se è approvato dal Consiglio ma respinto dal Parlamento (lett. c).
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Nellʼipotesi opposta, di rigetto del Consiglio e di approvazione del Parlamento, la posizione di eguale autorità delle due istituzioni viene alterata a favore del Parlamento. Questʼultimo, entro ulteriori 14 giorni dal rigetto del Consiglio e deliberando a maggioranza dei suoi membri e dei tre quinti dei voti espressi, può decidere di confermare tutti gli emendamenti originariamente adottati rispetto alla posizione del Consiglio, oppure solo alcuni di tali emendamenti; il bilancio è definitivamente adottato secondo le determinazione del Parlamento, cioè nel testo della posizione espressa dal Consiglio, come emendata dal Parlamento (se questo abbia confermato tutti i suoi emendamenti), oppure nel testo risultante dal comitato di conciliazione come emendato dal Parlamento (nel caso di conferma solo parziale degli originari emendamenti) (lett. d).
Una volta che il bilancio sia definitivamente adottato, quale che sia la procedura che abbia condotto a questo risultato, è formalmente il Presidente del Parlamento europeo che constata tale adozione. Ove il bilancio sia respinto, o, in ogni caso, se allʼinizio dellʼanno finanziario (cioè 1° gennaio) esso non sia stata ancora approvato, le spese vengono erogate secondo il regime dei dodicesimi → In base del questo regime, disposto dallʼart. 315 TFUE, di norma le spese effettuare mensilmente non possono superare un dodicesimo dei crediti aperti nel bilancio dellʼesercizio precedente, né un dodicesimo di quelli previsti nel progetto di bilancio non adottato.
Quando il bilancio sia stato approvato la sua esecuzione, cioè la riscossione delle entrate e lʼerogazione delle spese, è di competenza della Commissione. Essa è largamente coadiuvata dagli Stati membri, ai quali è in buona parte delegata lʼesecuzione del bilancio, in specie nella politica agricola nella gestione decentrata dei fondi strutturali. La responsabilità della esecuzione del bilancio resta in capo alla Commissione. La commissione esegue il bilancio sotto il controllo finanziario della Corte dei conti, la quale svolge le sue funzioni sia sulla base dei documenti, sia, se necessario, in loco, presso le istituzioni o organismi dellʼUnione, negli Stati membri e anche nei locali di persone fisiche e giuridiche che ricevano contributi a carico del bilancio.
Il controllo della Corte dei conti non è solo di carattere formale, ma investe il merito della gestione del bilancio; esso, infatti, non si limita ai profili di regolarità e legittimità, ma riguarda anche lʼaccertamento della sana gestione finanziaria, il che implica una valutazione di merito concernente lʼeconomicità e lʼefficacia della stessa gestione.
Il controllo politico sulla complessiva attività di amministrazione della Commissione è affidato invece al Parlamento europeo, il quale lo effettua sulla base di un esame dei conti e della relazione annuale e dichiarazione di affidabilità della Corte dei conti.
La delibera del parlamento è chiamata decisione di SCARICO ed esprime l’approvazione dell’operato della commissione. La decisione di scarico può essere accompagnata da osservazioni e la commissione compie tutti i passi necessari per darvi seguito.
4. L’adozione degli atti dell’Unione Europea
I trattati prevedono una pluralità di procedimenti decisionali, in ciascuno dei quali può variare il ruolo delle istituzioni. Il ricorso allʼuno o allʼaltro procedimento dipende dalla prescrizione della specifica disposizione sulla base della quale lʼatto in questione deve essere adottato → è il singolo articolo che attribuisce alle istituzioni la competenza ad adottare l’atto in questione e, di volta in volta, a stabilire il procedimento.
La procedura prevista dalle singole disposizioni del Trattato sul funzionamento dellʼUnione europea va obbligatoriamente applicata solo agli atti che contengono gli elementi essenziali della disciplina da emanare in forza delle stesse disposizioni → tali atti c.d. DI BASE possono prevedere l’adozione di una ulteriore normativa INTEGRATIVA o MODIFICATIVA di elementi non essenziali, da parte della commissione, o l’emanazione di atti di esecuzione della commissione o, eccezionalmente, del consiglio.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, formatasi anteriormente al Trattato di Lisbona, atti del genere non sono soggetti alla procedura prevista dalla specifica disposizione del Trattato sul funzionamento dellʼUnione europea, ma possono essere adottati secondo una procedure semplificata, nella quale intervenga solo il Consiglio o solo la Commissione.
La possibilità di adottare atti di attuazione con una procedura semplificata rispetto a quella prescritta dalla norma del Trattato per lʼatto di base è stata riaffermata sia per i regolamenti che per le direttive, volti ad attuare, rispettivamente, un regolamento o una direttiva di base → con il Trattato di Lisbona sono state espressamente previste le possibilità:
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di atti delegati della Commissione di portata generale, con le caratteristiche e nei limiti stabiliti nellʼatto legislativo di delega e, in ogni caso, non suscettibili di modificare gli elementi essenziali dellʼatto legislativo,
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di atti esecutivi della Commissione (o del Consiglio) volti ad attuare atti giuridicamente vincolanti dellʼUnione. Sia gli atti delegati, sia quelli esecutivi, sono emanati dalla sola Commissione (o, dal Consiglio), senza eseguire, quindi, le procedure stabilite dalle disposizioni del Trattato per lʼatto di base.
Sebbene sussistano numerose varianti nei procedimenti di adozione degli atti dellʼUnione, il Trattato di Lisbona ha cercato di stabilire delle tipologie generali di tali procedimenti, collegandovi, inoltre, la individuazione di atti legislativi dellʼUnione. Nel Trattato sullʼUnione europea emergono le istituzioni che possono considerarsi le autorità legislative, cioè il Parlamento europeo e il Consiglio:
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lʼart. 14, par. 1, dichiara “Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio”
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lʼart. 16, par. 1, recita che “Il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa”.
Ma l’esercizio della funzione legislativa è subordinato ad una proposta formale della commissione → il TFUE all’art. 289 par. 1 stabilisce una PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA, la c.d. CODECISIONE: la procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione. Tale procedura è definita all’articolo 294”.
Esistono anche delle PROCEDURE LEGISLATIVE SPECIALI, nelle quali viene meno quella perfetta simmetria di poteri tra Parlamento europeo e Consiglio → in queste procedure speciali il Consiglio riprende una posizione prioritaria sul Parlamento europeo, il quale partecipa allʼadozione dellʼatto del Consiglio con il suo parere o con una approvazione. Lo squilibro di poteri a favore del Consiglio non risulta dallʼart. 289, par. 2, TFUE, il quale sembra evocare la possibilità che, di volta in volta, possano assumere un ruolo determinante sia il Consiglio che il Parlamento europeo. Ma alla luce dei “casi specifici previsti dai Trattati”, risulta evidente uno sbilanciamento di poteri a favore del Consiglio, con riduzione di quelli del Parlamento europeo.
La procedura legislativa, sia essa ordinaria o speciale, vale a qualificare un atto dellʼUnione come legislativo → art. 289 par. 3: gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi.
In numerosi casi, però, le procedure legislative non trovano applicazione:
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per alcune istituzioni è esclusa radicalmente la possibilità di adottare atti legislativi → è il caso del Consiglio europeo, per il quale lʼart. 15, par. 1, TUE dispone espressamente che non esercita funzione legislative.
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Per alcune materie → come la politica estera e di sicurezza comune, nella quale è esclusa lʼadozione di atti legislativi. In tale materia il potere di decisione è concentrato nel Consiglio europeo e nel Consiglio, mentre marginale è la posizione della Commissione, dato che le proposte sono avanzate dagli Stati membri o dallʼAlto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, e altrettanto pu dirsi per il Parlamento europeo, il quale non è neppure consultato in merito allʼadozione degli atti dellʼUnione.
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Specifiche disposizioni del Trattato sul funzionamento dellʼUnione europea non prevedono alcuna forma di partecipazione del Parlamento europeo allʼadozione di un atto da parte del Consiglio → nellʼambito di materie come lʼattuazione del mercato interno, la definizione della tariffa doganale comune, lʼadozione di certe misure in materia di agricoltura e pesca, la politica economica, lʼadozione di misure restrittive verso Paesi terzi (o individui) con semplice informazione del Parlamento europeo. In tali ipotesi è possibile che il Consiglio chieda comunque il parere del Parlamento. Si tratterà di un parere facoltativo, nel senso che il Consiglio non solo non è tenuto a conformarvisi, ma neppure a richiederlo. La mancata consultazione del Parlamento, pertanto, non influisce in alcun modo sulla legittimità dellʼatto.
Inoltre, in alcuni casi, lʼatto, pur corrispondendo ad atti tipici dellʼUnione, quali definiti dallʼart. 288 TFUE, è adottato da istituzioni e secondo procedure del tutto particolari, ad esempio:
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lʼart. 132 TFUE attribuisce alla BCE il potere di emanare regolamenti e decisioni, oltre che raccomandazioni e pareri.
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lʼart. 155 TFUE, prevede che, in materia di politica sociale, possano essere conclusi contratti collettivi fra le parti sociali (associazioni di datori di lavoro e sindacati di lavoratori) a livello dellʼUnione e che, a richiesta congiunta delle parti firmatarie, possano essere attuati mediante una decisione del Consiglio su proposta della Commissione, mentre il Parlamento è solo informato → Tuttavia, come ha sottolineato il Tribunale, la Commissione e il Consiglio devono verificare la rappresentatività delle parti sociali, poiché, in assenza di un intervento del parlamento europeo, è tale rappresentatività che fornisce un carattere democratico al procedimento legislativo.
5. La proposta della Commissione
Secondo quanto previsto dai trattati, la Commissione è lʼistituzione a cui spetta, di regola, il potere di proporre lʼadozione di atti dellʼUnione:
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lʼart. 17, par. 2 → “un atto legislativo dell’Unione pu essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente. Gli altri atti sono adottati su proposta della Commissione se i trattati lo prevedono”.
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Art. 292 TFUE → “il consiglio delibera su proposta della commissione in tutti i casi in cui i trattati prevedono che adotti atti su proposta della commissione”.
Rari sono i casi in cui l’atto può adottarsi senza proposta della commissione → art. 289 par. 4 TFUE “nei casi specifici previsti dai trattati, gli atti legislativi possono essere adottati su iniziativa di un gruppo di Stati membri o del Parlamento europeo, su raccomandazione della Banca centrale europea o su richiesta della Corte di giustizia o della Banca europea per gli investimenti”. Altre volte la proposta di soggetti diversi è prevista alternativamente rispetto a quella della commissione, che resta cmq possibile (es. in materia di cooperazione giudiziaria penale e di polizia).
Un potere esclusivo di iniziativa, invece, sussiste a favore del Parlamento europeo per l’elaborazione di un progetto di disposizioni relative alla sua elezione e per l’emanazione di regolamenti sullo statuto e e condizioni generali per l’esercizio delle funzioni dei suoi membri (art. 223 TFUE). La commissione poi è priva del potere di iniziativa in materia di politica estera e di sicurezza comune, nonché riguardo gli atti della BCE.
Il potere di iniziativa della Commissione può essere sollecitato:
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dal Parlamento, dal Consiglio, da un milione di cittadini e lo stesso Consiglio europeo pu indicare alla Commissione temi sui quali formulare proposte e criteri e principi ai quali attenersi.
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Eccezionalmente da uno Stato membro (art. 135 TFUE).
La proposta della Commissione viene preparata non solo a seguito delle riflessioni della stessa Commissione e in base alle competenze tecniche dei commissari e dei propri uffici. La Commissione si consulta anche con esperti degli Stati membri e tiene conto delle sollecitazioni, delle segnalazioni, del dialogo con gli ambienti sociali e i gruppi di interesse (quali associazioni di categorie economiche, sindacati, rappresentanze di enti locali, ditte individuali, studi legali specializzati in materie dell’Unione, etc.) → per evitare che le sollecitazioni divengano troppo aggressive, la commissione ha adottato misure volte ad assicurare TRASPARENZA nei rapporti con i gruppi di interesse, nello stimolare questi ad adottare codici di condotta, per assicurare l’obiettività e l’imparzialità dell’azione dei loro funzionari. Si ricordi l’iniziativa europea per la trasparenza adottata dalla commissione con la comunicazione del 27 maggio 2008; è seguito un accordo nel 2011 tra Parlamento e Commissione sull’istituzione di un registro per la trasparenza per le organizzazioni, le persone giuridiche e i lavoratori autonomi impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione.
Ex art. 293 par. 1 TFUE, Il Consiglio può respingere una proposta della Commissione, non essendo richiesto per ciò che, nello stesso Consiglio, si formi la maggioranza (o, lʼunanimità) richiesta per lʼadozione dellʼatto. MA ove il Consiglio voglia modificare il testo proposto dalla Commissione può farlo solo all’unanimità → Tale regola tende ad accrescere lʼautorità della proposta in quanto presumibilmente espressione dellʼinteresse generale rappresentato dalla Commissione.
Ex art. 293 par. 2 TUE, fino a che il consiglio non ha deliberato, la commissione può modificare la propria proposta → Il potere della Commissione di modificare l’originaria proposta può essere esercitato per tenere conto delle possibilità di consenso delle altre due istituzioni, il Parlamento e il Consiglio, competenti nel procedimento decisionale:
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la Commissione, cioè, può decidere una modifica per rendere più accettabile la proposta di tali istituzioni.
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La Commissione può usare tale potere per contrapporsi al Consiglio, per impedire lʼadozione di un emendamento, non gradito dalla stessa Commissione, sul quale si profili il raggiungimento della unanimità nel Consiglio.
Il potere di modica della proposta sembra comportare anche il potere di ritirare la proposta, così impedendo lʼadozione dellʼatto nella materia oggetto dell’originaria proposta (corte di giustizia sent. FEDIOL 14 luglio 1988).
6. La procedura legislativa ordinaria
Detta anche di CODECISIONE, tale procedura, consistente nell’ADOZIONE CONGIUNTA DI UN REGOLAMENTO, DI UNA DIRETTIVA O DI UNA DECISIONE DA PARTE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, SU PROPOSTA DELLA COMMISSIONE, è regolata dall’art. 294 TFUE.
Introdotta con il trattato di Maastricht, anche se contemplata già nel c.d. Progetto spinelli, essa realizza quella pari potestà legislativa tra parlamento e consiglio conforme a quella duplice legittimità democratica, europea e nazionale, espressa dalla responsabilità dei governi verso i parlamenti nazionali.
La procedura in esame:
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Inizia con la proposta della Commissione, la quale è inviata simultaneamente dal Parlamento europeo e al Consiglio, così da favorire un confronto tra le due istituzioni.
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Sulla proposta della Commissione si svolge una “Prima lettura” da parte del Parlamento europeo e del Consiglio:
a. il Parlamento adotta la sua posizione e la trasmette al Consiglio; se quest’ultimo l’approva lʼatto è adottato nel testo convenuto dalle due istituzioni; in caso contrario il Consiglio adotta la sua posizione e la trasmette al Parlamento, informandolo esaurientemente delle proprie motivazioni.
b. Anche la Commissione informa esaurientemente il Parlamento della sua posizione.
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Si apre la fase della “Seconda lettura”, che può condurre ai seguenti risultati:
a. Entro tre mesi dalla comunicazione della posizione del Consiglio il Parlamento può approvare tale posizione del Consiglio e, in questo caso, lʼatto è adottato nel testo formulato dal Consiglio; a tale ipotesi è equiparata quella in cui il Parlamento, sempre entro i tre mesi, non si sia pronunciato (silenzio-assenso).
b. Al contrario, entro il suddetto termine, il parlamento può respingere la posizione del Consiglio a maggioranza dei suoi membri e lʼatto si considera definitivamente non adottato. c. c. Infine il Parlamento può proporre, sempre a maggioranza dei suoi membri, emendamenti alla posizione del Consiglio; il testo così emendato è trasmesso al Consiglio e alla Commissione, che formula in proposito un parere → In questʼultimo caso il Consiglio svolge anchʼesso una seconda lettura:
a. Se entro tre mesi dal ricevimento degli emendamenti il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, approva tutti gli emendamenti del Parlamento lʼatto è approvato, ovviamente come emendato dal Parlamento.
b. Se, invece, il Consiglio non approva tutti gli emendamenti il Presidente del Consiglio, dʼintesa con il Presidente del parlamento, convoca entro sei settimane un comitato di conciliazione.
In questa fase il Consiglio solo all’unanimità può approvare emendamenti sui quali la Commissione abbia espresso parere negativo.
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Nel caso di dissenso tra il Parlamento europeo e il Consiglio in merito agli emendamenti proposti dal primo si svolge una fase di “conciliazione”, aperta con la convocazione del comitato di conciliazione, composto dai membri del Consiglio o dai loro rappresentati e da altrettanti rappresentanti del Parlamento. Tale comitato deve cercare di giungere a un accordo su un testo comune, approvato a maggioranza qualificata dei membri (o loro rappresentanti) del Consiglio e a maggioranza dei rappresentanti del Parlamento. Alla ricerca dellʼaccordo contribuisce, in veste di conciliatore, la Commissione, che cerca di favorire un ravvicinamento fra le posizioni delle altre due istituzioni. Nella ricerca di un accordo, il comitato di conciliazione si base sulle posizioni del Parlamento europeo e del Consiglio in seconda lettura.
Si noti come in questa fase, come in quella successiva di eventuale adozione dell’atto, viene meno la regola secondo la quale solo all’unanimità il Consiglio può modificare la proposta della Commissione, posto che il Consiglio vota a maggioranza qualificata → Ciò denota che il cuore della procedura consiste nella ricerca di un atto condiviso tra il Parlamento e il Consiglio, ed è quindi l’accordo tra questi due istituzioni che assume carattere decisivo, mentre la Commissione si pone, in un certo senso, al loro servizio.
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Se entro sei settimane dalla sua convocazione il comitato di conciliazione non approva un progetto comune, l’atto in questione si considera non adottato e la procedura si chiude definitamente.
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Se un progetto comune è approvato si apre la fase della “Terza lettura”. Entro ulteriori sei settimane il Parlamento europeo (a maggioranza dei voti espressi) e il Consiglio (a maggioranza qualificata) possono adottare lʼatto in questione in base al progetto comune del comitato di conciliazione, l’atto, quindi, è definitamente adottato → In mancanza di decisione (anche di una sola di tali istituzioni) l’atto si considera non approvato. I termini di tre mesi e di sei settimane previsti dall’art. 294 possono essere prorogati, rispettivamente di un mese e di due settimane, al massimo, su istanza del Parlamento europeo o del Consiglio.
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Le procedure legislative speciali
Lʼart. 289, par. 2, TFUE contempla anche la possibilità di procedure legislative speciali: “Nei casi specifici previsti dai trattati, l’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo costituisce una procedura legislativa speciale” → viene meno il rapporto paritario tra Parlamento e consiglio, sbilanciandosi a favore del consiglio che, di norma, assume il potere decisionale.
Estremamente rara è lʼipotesi opposta → Può ricordarsi lʼart. 223, par. 2, TFUE, il quale prevede che il Parlamento europeo stabilisca, mediante regolamenti, lo statuto e le condizioni generali per lʼesercizio delle funzioni dei suoi membri.
Come di regola avviene, dunque, la decisione spetta al consiglio che, di solito, delibera all’unanimità. Il ruolo del parlamento si risolve:
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con un parere → es. art. 21 par. 3 TFUE in materia di sicurezza sociale e protezione dei cittadini europei che circolano o soggiornano in territorio UE; art. 22 modalità di voto nelle elezioni comunali e al parlamento europeo dei cittadini europei in paesi diversi dal proprio.
La consultazione del parlamento è prescritta come obbligatoria e pertanto i conseguenti pareri sono qualificati in tal senso. Se il consiglio non ottempera l’obbligo di consultazione l’atto eventualmente emanato sarà illegittimo per VIOLAZIONE DELLE FORME SOSTANZIALI e potrà essere dichiarato nullo dalla corte di giustizia ex artt. 263-264 TFUE. Come ha sottolineato la corte il parere oltre che chiesto deve essere effettivamente dato, in modo che il consiglio ne possa tener conto. Il parere obbligatorio comporta anche l’obbligo di RICONSULTAZIONE nel caso di modifica sostanziale dell’iniziale proposta. Se il parlamento ritarda eccessivamente nel dare il proprio parere, il consiglio può eccezionalmente emanare l’atto.
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Con un atto di approvazione → es. per l’adozione di provvedimento contro le discriminazioni, la definizione delle disposizioni relative allʼelezione del Parlamento europeo, etc.
Abbastanza frequente è la prescrizione dell’approvazione del Parlamento europeo al di fuori dellʼadozione di atti legislativi, per esempio nella constatazione di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui allʼart. 2 TUE, per certe ipotesi di revisione dei Trattati ai sensi dellʼart. 48 TUE, per lʼammissione di nuovi membri. Lʼapprovazione del Parlamento europeo sostituisce, i virtù del Trattato di Lisbona, il preesistete atto dello stesso Parlamento denominato “parere conforme”. L’approvazione precede lʼemanazione dellʼatto del Consiglio → lʼatto del consiglio è adottato validamente solo se il Parlamento lo abbia precedentemente approvato. Lʼapprovazione comporta un potere determinante del Parlamento, il quale può quindi impedire lʼadozione dellʼatto esercitando una sorta di diritto di veto. Tale potere, poi, ha una natura esclusivamente negativa, potendo essere esercitato solo al fine di impedire che lʼatto in questione sia adottato. Il Parlamento, invece, a differenza della procedura legislativa ordinaria di codecisione, non può incidere in senso propositivo sul contenuto dellʼatto, in quanto è estraneo alla sua elaborazione. Inoltre, la votazione unanime, solitamente prescritta per il Consiglio, tende a spostare il baricentro della procedura dalla ricerca di un’intesa tra il Consiglio e il Parlamento alla ricerca di un accordo tra gli stati membri del Consiglio.
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La conclusione di accordi internazionali e la competenza dell’Unione Europea
La stipulazione da parte dell’UE di accordi internazionali con stati terzi o con organizzazioni internazionali è materia di DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE ma, accanto a tali norme, i trattati pongono una propria disciplina concernente:
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la competenza dell’unione a stipulare
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il processo di stipulazione e il ruolo delle diverse istituzioni
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gli effetti giuridici degli accordi nell’ordinamento UE
Tale normativa profondamente innovativa rispetto a quella vigente anteriormente al Trattato di Lisbona, rappresenta in larga misura il riconoscimento normativo della giurisprudenza della Corte di giustizia, che aveva già interpretato in maniera sensibilmente evolutiva le norme precedenti, giungendo ad affermare una competenza generale dellʼUnione europea a concludere accordi internazionali in tutte le materie di propria competenza → Contrariamente a quanto suggeriva lʼart. 300 del Trattato sulla Comunità europea, vigente sino allʼentrata in vigore del Trattato di Lisbona, chr dettava la disciplina sulla conclusione degli accordi della Comunità con riferimento a “quando le disposizioni del presente Trattato prevedano le conclusioni di accordi tra la Comunità e uno o più Stati ovvero unʼorganizzazione internazionale”, la Corte di giustizia aveva da tempo elaborato la teoria del PARALLELISMO DELLE COMPETENZE (interne ed esterne), in base alla quale la Comunità doveva considerarsi provvista della competenza a concludere accordi internazionali in tutte le materie nelle quali avesse la competenza a dettare norme sul piano interno dellʼordinamento comunitario (sent. 31 marzo 1971 causa AETS).
I principi normativi sui quali la Corte fondava tale competenza erano rappresentati dal riconoscimento della personalità internazionale della Comunità europea, dalla teoria dei poteri impliciti e dallʼobbligo di leale cooperazione tra gli Stati membri e la Comunità → dopo aver ricavato dalla personalità la capacità di concludere accordi internazionali, la Corte di giustizia ha affermato che la Comunità aveva la competenza a stipulare accordi in ogni materia nella quale avesse la competenza a emanare atti normativi al proprio interno. In mancanza di tale competenza a stipulare, gli Stati membri, concludendo accordi con Stati terzi, avrebbero potuto pregiudicare la normativa emanata dalla Comunità: pertanto la competenza a stipulate tendeva a concentrarsi progressivamente nelle sole mani della Comunità.
Successivamente la Corte, nel parere 1/76 del 26 aprile 1977, ribadendo il parallelismo delle competenze, ha mostrato di non ritenere più necessaria, ai fini della competenza a concludere accordi, la previa emanazione di una normativa interna. La Corte ha poi precisato, nella sentenza del 5 novembre 2002, che la possibilità di concludere accordi ancor prima di emanare norme interne è ammissibile solo nell’ipotesi “in cui la competenza interna può essere esercitata soltanto contemporaneamente alla competenza esterna, quando cioè è necessaria la conclusione di un accordo internazionale per realizzare determinati obiettivi del Trattato che non possono essere raggiunti mediante l’instaurazione di norme autonome”.
Il Trattato di Lisbona ha sostanzialmente recepito tale giurisprudenza: lʼart. 216, par. 1, TFUE dichiara infatti: “L’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata”. Questo articolo:
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rinvia alle disposizioni dei Trattati che espressamente prevedono la conclusione di accordi, come quella in materia di politica commerciale; quella in materia di cooperazione allo sviluppo, quella in materia di cooperazione economica, finanziaria e tecnica; quella in materia di cooperazione in tema di ricerca e sviluppo tecnologico; quella in materia di politica ambientale.
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contempla, ila competenza dellʼUnione a concludere accordi quando ciò sia previsto da un atto giuridicamente vincolante emanato dalla stessa Unione
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accoglie la teoria giurisprudenziale del parallelismo, disponendo che lʼUnione possa concludere un accordo quando ciò sia necessario per raggiungere un obiettivo fissato dai Trattati nellʼambito delle politiche dellʼUnione, quindi in tutte le materie nelle quali lʼUnione abbia il potere di emanare la propria normativa interna nonché quando la conclusione di un accordo sia idoneo a incidere o modificare norme comuni già emanate dallʼUnione.
9. La competenza esclusiva o concorrente dell’Unione Europea
Art. 3, par. 2, TFUE: “l‘Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell’Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui pu incidere su norme comuni o modificarne la portata” → Ma Tale articolo non implica che la competenza dellʼUnione a concludere accordi sia sempre esclusiva, con definitiva perdita di tale competenza degli Stati membri:
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Va osservato che spesso le norme del Trattato sul funzionamento dellʼUnione europea, nel prevedere la possibilità di concludere accordi, dichiarano espressamente che la competenza dellʼUnione non esclude quella degli Stati membri (per esempio in materia di politica ambientale, di cooperazione alla sviluppo, di cooperazione economica, finanziaria e tecnica e in materia di regime monetario o valutario). In questi casi non previsti dai Trattati (ai quali lʼart. 3, par. 2 non fa riferimento) la competenza a concludere accordi non appartiene in via esclusiva allʼUnione, ma ha natura concorrente con quella degli Stati membri.
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Lʼart. 3, par. 2 va interpretato in maniera conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia, che è alla base della normativa inserita in materia del Trattato di Lisbona. Alla luce di tale giurisprudenza e, in particolare, del principio del parallelismo delle competenze, recepito dallʼart. 3, par. 2, TFUE (nella parte in cui fa riferimento alla conclusione, da parte dellʼUnione, di accordi che sia necessaria “per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno”), deve ritenersi che questo principio operi non solo quale fondamento della competenza dellʼUnione a concludere accorsi, ma anche per stabilire se tale competenza sia esclusiva o meno.
In altri termini, dove la competenza interna dellʼUnione sia esclusiva (come del settore dellʼunione doganale, nella conservazione delle risorse biologiche marine, ecc.), altrettanto sarà esclusiva la competenza a concludere accordi internazionali, salva la possibilità che la stessa Unione utilizzi gli Stati membri a concludere accordi. Nelle altre materie, di competenza concorrente, il potere dellʼUnione di concludere accordi internazionali coesiste con quello degli Stati membri. Peraltro, anche nelle materie di competenza concorrente, in linea con la giurisprudenza formatasi anteriormente allʼintroduzione dellʼart. 3, par. 2, TFUE, gli Stati membri devono esercitare i propri poteri in modo da non compromettere i fini dellʼUnione, in omaggio al principio della leale cooperazione.
Inoltre, i poteri degli Stati membri vengono progressivamente a ridursi mano a mano che lʼUnione emana norme interne nelle varie materie, perché non possono assumere obblighi internazionali che incidano su tali norme. Pertanto, sebbene glia articoli del Trattato prevedano una competenza a stipulare concorrente dellʼUnione e degli Stati membri, lʼemanazione di disposizioni interne da parte dellʼUnione trasforma progressivamente tale competenza in esclusiva. Questo principio trova oggi riconoscimento normativo nellʼart. 3, par. 2. TFUE, nella parte in cui dichiara che la competenza dellʼUnione per la conclusione di accordi è esclusiva “nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata”.
La corte poi nel parere 1/03 del 7 febbraio 2006, riguardo la competenza dell’UE a concludere la nuova convenzione di Lugano sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ha dichiarato che l’esistenza di una competenza esclusiva:
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deve basarsi su conclusioni derivanti da una completa analisi del rapporto esistente tra l’accordo previsto e il diritto comunitario.
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Non è necessario che sussista una concordanza completa tra il settore disciplinato dall’accordo internazionale e quello della normativa comunitaria. Bisogna prendere in considerazione anche le prospettive di evoluzione del diritto comunitario.
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Gli accordi misti
Per evitare il problema di determinare in quale misura l’accordo rientri nella competenza dell’unione o degli stati membri → è invalsa la prassi di stipulare degli accordi negoziati e sottoscritti sia dall’unione che dagli stati membri (non necessariamente tutti) che richiedono non solo una decisione UE ma anche la ratifica degli stati membri.
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In passato la formula dellʼaccordo misto era spesso dovuta alla indisponibilità di Stati terzi a riconoscere l’Unione in quanto tale o, alla richiesta di tali Stati di avere quali contraenti gli Stati membri dellʼUnione, non solo questʼultima.
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Successivamente il ricordo alla prassi degli accordi misti è stato voluto, invece, proprio dagli Stati membri, restii a consentire allʼUnione di gestire da sola le relazioni esterne e preoccupati di salvaguardarne le proprie prerogative di fonte alla tendenza ad un continuo ampliamento della competenza esclusiva dellʼUnione.
La prassi degli accordi misti è stata riconosciuta anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia che ha sottolineato l’obbligo di collaborazione derivante dall’esigenza di unità nella rappresentanza internazionale della comunità → Di fatto la maggior parte degli accordi multilaterali dellʼUnione è costituita da accordi misti.
Tali accordi determinano però alcune difficoltà ed inconvenienti:
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la necessità della ratifica degli Stati membri, oltre alla decisione del Consiglio dellʼUnione, per la conclusione dellʼaccordo può implicare notevoli ritardi → per rimediare a tale eventualità solitamente gli accordi misti prevedono la loro applicazione in via provvisoria.
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Gli accordi misti determinano, inoltre, anche problemi di coordinamento tra lʼUnione e gli Stati membri, ed è quindi importante definire, anche nei confronti degli Stati terzi contraenti, in quale misura i diritti e gli obblighi nascenti dallʼaccordo misto si ripartiscano tra lʼUnione e gli Stati membri.
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Sebbene la materia oggetto dellʼaccordo rientri nella competenza, anche esclusiva, dellʼUnione, la partecipazione di questʼultima può essere preclusa dal fatto che lʼaccordo sia aperto solo a Stati, non anche ad organizzazioni → Ciò accade, per esempio, per accordi adottati nellʼambito di organizzazioni internazionali, quale lʼOIL (Organizzazione internazionale del lavoro), o dalla conferenza dellʼAja di diritto internazionale privato. In questi casi la corte ha affermato che la competenza a stipulare, appartenente all’Unione, sia esercitata dagli stati membri nell’interesse dell’UE. Nella prassi, il consiglio, con propria decisione, è solito autorizzare gli stati membri a firmare o a ratificare nell’interesse dell’UE, convenzioni rientranti nella sua competenza ma a cui non può partecipare perché aperte solo a stati.
11. La procedura di stipulazione degli accordi dell’unione europea e i loro effetti giuridici. Il parere della corte di giustizia.
Lʼart. 218 TFUE prevede il procedimento generale, mentre varianti solo contemplate riguardo a specifiche categorie di accordi, come quelli commerciali o quelli in materia di cambi e di regime monetario o valutario; regole specifiche poste peraltro nello stesso art. 218 riguardano anche la conclusione di accordi in materia di politica estera e di sicurezza comune.
Il procedimento generale:
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inizia con una raccomandazione della Commissione (o dellʼAlto rappresentante dellʼUnione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, se lʼaccordo previsto riguarda esclusivamente o principalmente tale materia) rivolta al Consiglio affinché autorizzi lʼavvio dei negoziati.
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Il Consiglio, che detiene i principali poteri nella stipulazione degli accordi, in quanto “autorizza l’avvio dei negoziati, definisce le direttive di negoziato, autorizza la firma e conclude gli accordi”, se accoglie la raccomandazione, adotta una decisione che autorizza lʼavvio dei negoziati e designa, in funzione della materia dellʼaccordo previsto, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato.
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Il negoziatore agisce sotto il controllo dello stesso Consiglio, il quale può impartirgli direttive e designare un comitato speciale che deve essere consultato nella conduzione dei negoziati.
Originariamente, in questa fase non era prevista alcuna partecipazione del Parlamento europeo. Ora lʼart. 218, par. 10, TFUE dispone che esso è immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della procedura di stipulazione. Inoltre, il Regolamento interno del parlamento dispone che il parlamento venga esaurientemente informato dalla Commissione, ancor prima dellʼapertura dei negoziati, sulla proposta del mandato a negoziare e che esso possa chiedere al Consiglio di non autorizzare lʼapertura dei negoziati finché non si sia pronunciato su tale proposta.
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La decisione di concludere lʼaccordo spetta al Consiglio nel quale, quindi, si concentra la competenza a stipulare in nome dellʼUnione. Sia la firma che la decisione di concludere lʼaccordo dono decise su proposta del negoziatore. La conclusione può avvenire:
a. in forma specifica, mediante la semplice firma da parte della persona delegata dal Consiglio
b. in forma solenne, con una decisione o un regolamento del Consiglio → la determinazione del Consiglio di procedere alla firma può essere accompagnata da una decisione di applicazione provvisoria dellʼaccordo.
Una volta eseguita la determinazione del Consiglio di concludere lʼaccordo, alla controparte è comunicato che sono state adempiute le formalità necessarie per la conclusione dellʼaccordo.
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La sua entrata in vigore avviene poi secondo le norme di diritto internazionale in materia.
Per quanto riguarda il sistema di votazione del Consiglio:
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delibera di regola con la maggioranza qualificata;
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deliberaallʼunanimità quando lʼaccordo riguarda un settore per il quale è richiesta lʼunanimità per lʼemanazione di atti sul piano interno dellʼUnione, per gli accordi di associazione, gli accordi di cooperazione economica, finanziaria e tecnica con gli Stati candidati allʼadesione, lʼaccordo di adesione alla Convenzione europea dei diritti dellʼuomo, alcuni tipi di accordi commerciali, gli accordi sui tassi di cambio dellʼeuro nei confronti delle valute dei Paesi terzi.
Nel procedimento di conclusione degli accordi internazionali il ruolo del Parlamento si esprime, a seconda dei casi, con la sua preventiva approvazione o consultazione. Esso, invece, resta sostanzialmente estraneo al procedimento quando lʼaccordo riguardi esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune. Lʼapprovazione del Parlamento europeo è richiesta nei casi seguenti (art. 218 par. 6):
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accordi di associazione;
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accordo sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;
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accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione;
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accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per l’Unione (carattere pluriennale delle spese)
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accordi che riguardano settori ai quali si applica la procedura legislativa ordinaria oppure la procedura legislativa speciale qualora sia necessaria l’approvazione del Parlamento europeo.
In caso d’urgenza, il Parlamento europeo e il Consiglio possono concordare un termine per l’approvazione.
Lʼart. 218 prevede che il Consiglio possa attribuire una sia pur limitata competenza a stipulare al negoziatore → ex par. 7, allʼatto della conclusione di un accordo, il Consiglio può abilitare il negoziatore ad approvare a nome dellʼUnione le modifiche dellʼaccordo se questʼultimo ne preveda lʼadozione con una procedura semplificata o da parte di un organo istituiti dallʼaccordo stesso.
Per quanto riguarda lʼeventuale sospensione di un accordo, la decisione spetta al Consiglio, su proposta della Commissione o dellʼAlto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, mentre non è previsto alcun intervento del Parlamento europeo.
Una parziale competenza a stipulare accordi a norme dellʼUnione può riconoscersi anche:
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Alla Commissione → art. 6 protocollo 7, essa può concludere accordi per fare riconoscere i lasciapassare dei membri e degli agenti delle istituzioni europee.
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AllʼAlto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza comune → la cui competenza dovrebbe prevalere nella materia della politica estera e di sicurezza comune.
Alla Commissione e allʼAlto rappresentante fa riferimento lʼart. 220 TFUE che, dopo aver previsto che l’unione collabora con le nazioni unite, gli istituti specializzati, l’OSCE o l’OCSE, dichiara che l’altro rapp. E la comissione sono incaricati dell’attuazione del presente articolo.
La Commissione ha cercato di utilizzare a proprio profitto il principio del parallelismo, affermato dalla Corte di giustizia per il riconoscimento di una competenza a stipulare dellʼUnione in tutti i settori nei quali ha la competenza ad emanare disposizioni sul piano interno MA quando essa ha concluso un accordo amministrativo con gli USA sull’applicazione del rispettivo diritto della concorrenza, la corte di giustizia (9 ag. 1994) ha dichiarato l’invalidità dell’atto per incompetenza: la competenza interna della commissione non è tale da modificare la ripartizione delle competenze tra le istituzioni comunitarie in materia di conclusione di accordi internazionali, come art. 228 (oggi 218) del trattato.
Gli accordi internazionali dellʼUnione sono subordinati al rispetto delle disposizioni dei Trattati, disposizioni che essi non possono modificare né abrogare → lʼart. 218, par. 11 stabilisce che “uno Stato membro, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con i trattati. In caso di parere negativo della Corte, l’accordo previsto non può entrare in vigore, salvo modifiche dello stesso o revisione dei trattati”.
Il parere richiesto alla Corte di giustizia riguarda la compatibilità tra il contenuto dellʼaccordo e quello dei Trattati. Sebbene la competenza della Corte si esprima con un parere, esso vincola le istituzioni → ove la Corte accerti lʼincompatibilità dellʼaccordo con i Trattati, esso può essere concluso solo dopo averlo modificato, o dopo avere modificato gli stessi Trattati.
Perché la corte possa esercitare la propria competenza è necessario che l’oggetto e le grandi linee dell’accordo previsto siano stati sufficientemente descritti. Ex parere 1/09 dell’8 marzo 2011:
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la corte può essere investita di una domanda di parere prima che inizino i negoziati se l’oggetto dell’accordo è conosciuto.
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La ricevibilità di una domanda di parere non può essere posta in discussione per il fatto che il consiglio non abbia ancora adottato la decisione di avviare i negoziati a livello internazionale.
Per quanto riguarda gli effetti giuridici degli accordi internazionali dellʼUnione, lʼart. 216, par. 2, TFUE, dispone che “gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri” → tali accordi, oltre ad obbligare lʼUnione nei confronti degli altri contraenti in base alla norma di diritto internazionale generale pacta sunt servanda, entrano a far parte dellʼordinamento dellʼUnione, vincolando le istituzioni a rispettarli nello svolgimento delle proprie funzioni. Lʼefficacia di tali accordi nellʼordinamento dellʼUnione avviene in maniera immediata e automatica, non appena lʼaccordo entra in vigore sul piano internazionale.
L’obbligatorietà degli accordi conclusi dallʼUnione anche per gli Stati membri determina una efficacia degli stessi per tali Stati, senza bisogno di alcun atto statale di firma o di ratifica (salvi gli accordi misti), né di atti statali di adattamento o di esecuzione al proprio interno. Anche se in dottrina si dubita che la conclusione di accordi dellʼUnione implichi la nascita di obblighi degli Stati membri sul piano internazionale, secondo la Corte di giustizia obblighi degli Stati membri nei confronti degli altri Stati contraenti sussistono, ma sembrerebbe che il loro fondamento non si collochi tanto nel diritto internazionale, quanto piuttosto nello stesso ordinamento dellʼUnione, proprio in virtù della disposizione dellʼart. 216, par. 2 → Sembrerebbe, pertanto, che lʼesecuzione dellʼaccordo da parte degli Stati membri rappresenti lʼadempimento di un obbligo interno derivante dal diritto dellʼUnione del quale lo stesso accordo è parte integrante.
N.B.
Nella sentenza del 7 ottobre 2004, la corte ha ribadito che “secondo la giurisprudenza gli accordi misti conclusi dall’UE, dai suoi stati membri e da paesi terzi hanno nell’ordo comunitario la stessa disciplina giuridica degli accordi puramente comunitari, trattandosi di disposizioni che rientrano nella competenza della comunità. Pertanto gli stati membri, garantndo il rispetto degli impegni derivanti da un accordo concluso dalle istituzioni comuitarie, adempiono nell’ordinamento comunitario ad un obbligo verso la comunità che si è assunta la responsabilità della corretta esecuzione dell’accordo.