Riassunto di “La ricerca sociale metodologie e tecniche vol. I di P. Corbetta”
Capitolo 1 – i paradigmi della ricerca sociale
La nozione di paradigma venne utilizzata sia da Platone (= modello) che da Aristotele (= esempio). Nelle scienze sociali il suo significato è controverso tanto che appare utile riferirsi al concetto elaborato negli anni ’60 da Kuhn → con il termine paradigma egli disegna una prospettiva teorica:
condivisa e riconosciuta dalla comunità scientifica di una determinata disciplina
fondata sulle precedenti acquisizioni di quella disciplina
che opera indirizzando la ricerca in termini di individuazione e scelta dei fatti rilevanti da studiare e di formulazione di ipotesi entro quali collocare la spiegazione del fenomeno oltre che di approntamento delle tecniche di ricerca empirica necessarie.
Senza un paradigma quindi la scienza è priva di orientamenti e criteri di scelta perchè tutti i metodi, i problemi e le tecniche sono egualmente legittime. Il paradigma non è una teoria ma anzi esso precede l’elaborazione teorica. Per Kuhn la scienza NORMALE è quelle fasi di una disciplina scientifica durante le quali predomina un determinato paradigma e fino a quando il paradigma predominante non sarà sostituito in maniera rivoluzionaria, essa si sviluppa effettivamente secondo quel modo di pensare.
Si può però parlare di paradigmi nelle scienze sociali? Per Kuhn il paradigma caratterizza le scienze mature. Le scienze sociali risultano però prive di un unico paradigma largamente condiviso dalla comunità scientifica e pertanto si troverebbero in una condizione preparadigmativa.
Esiste una altra interpretazione del pensiero di Kuhn → si lasciano tutti gli elementi della definizione originaria del concetto di paradigma salvo quello della condivisione da parte della comunità scientifica. In tal modo la sociologia diviene una scienza multiparadigmatica (Friedrichs).
Tre questioni di fondo
I quadri di riferimento di fondo che hanno storicamente orientato la ricerca sociale sono:
a. la visione empirista (positivismo)
b. la visione umanista (interpretavitismo)
Per confrontare adeguatamente questi due paradigmi bisogna capire come essi cercano di rispondere agli interrogativi fondamentali della ricerca sociale: ESSENZA, CONOSCENZA, METODO.
Questione ontologica → esiste la realtà sociale? I fenomeni sociali sono cose in sé o sono rappresentazione di cose? Si collega all generale questione filosofica della esistenza delle cose e del mondo esterno.
Questione epistemologica → rapporto tra il chi e il che cosa. Riguarda la conoscibilità della realtà sociale, ponendo l’accento sulla relazione tra studioso e realtà studiata.
Questione metodologica → è la questione del come la realtà sociale può essere conosciuta. Riguarda cioè la strumentazione tecnica del processo conoscitivo.
Positivismo
La sociologia nasce sotto gli auspici del pensiero positivista, assumendo, al momento della sua nascita, quello che era il paradigma delle scienze naturali. Studiosi come Comte e Spencer condividevano una fede nei cnf dei dei metodi delle scienze naturali: lo studio della realtà sociale utilizzando gli apparati concettuali, le tecniche di osservazione e misurazione, gli strumenti d’analisi matematica, i procedimenti d’inferenza delle scienze naturali.
Per Comte l’acquisizione del punto di vista positivista rappresenta in ogni scienza il punto terminale di un itinerario che ha precedentemente attraversato gli stadi teologico e metafisico → un itinerario che si è imposto prima nelle scienze della natura inorganica, poi in quella organica e infine è arrivato alla società, portando alla costituzione della scienza positiva della società.
A Durkheim si deve il primo tentativo di declinare questa prospettiva in termini di ricerca empirica, cercando cioè di tradurre i principi del pensiero positivo in prassi empirica: i fatti sociali come cose poiché essi hanno le stesse proprietà delle cose del mondo naturale. Pertanto:
i fatti sociali non sono soggetti alla volontà dell’uomo
i fatti sociali funzionano secondo proprie regole che l’uomo può scoprire attraverso la ricerca scientifica
Da qui l’assunto di una sostanziale unità metodologica tra mondo naturale e mondo sociale dunque la realtà sociale può essere studiata con gli stessi metodi delle scienze naturali. Nel positivismo il modo di procedere di questa conoscenza è fondamentalmente induttivo: dal particolare all’universale. Nel procedimento induttivo è implicito l’assunto di un ordine e di una uniformità della natura, di principi organizzatori di carattere universale che lo scienziato deve scoprire. Riguardo la forma di questa conoscenza, non vi sono dubbi sulla possibilità di pervenire alla individuazione e formulazione di queste leggi della natura, alla loro dimostrazione e verifica secondo il nesso di causa-effetto.
questione ontologica: realismo ingenuo. Esiste una realtà sociale oggettiva esterna all’uomo, conoscibile nella sua essenza.
Questione epistemologica: dualista (l’oggetto studiato e lo studioso son entità indipendenti) e oggettivistica (lo studioso può studiare l’oggetto senza influenzarlo o esserne influenzato); legge naturale (la conoscenza assume la forma di leggi fondate sulle categorie di causa effetto ed esse esistono nella realtà esterna indipendentemente dagli osservatori e la sovrintendono). Il fatto sociale è un dato esterno e immodificabile.
Questione metodologica: sperimentale e manipolativa. La tecnica ideale rimane quella dell’esperimento, fondata su manipolazione e controllo delle variabili implicate e separazione-distacco tra osservatore ed osservato.
Neopositivismo e postpositivismo
Il positivismo novecentesco è stato assai più complesso ed articolato di quello originale benché non sia venuto meno al realismo ontologico ed alla posizione preminente accordata all’osservazione empirica.
Una delle prime revisione fu operata dalla scuola del POSITIVISMO LOGICO che ha dato origine al neopositivismo → movimento formatosi intorno al cd circolo di Vienna e sulle cui posizioni si verrà a formare un gruppo analogo a Berlino.
Ruolo centrale viene assegnato alla critica della scienza, ridefinendo il compito della filosofia che deve abbandonare il terreno delle grandi teorizzazioni per passare a quello della analisi critica di quanto elaborato nelle teorie delle singole discipline. Da qui il rifiuto delle grandi questioni e di tutte le metafisiche prive di senso poiché indimostrabili. La principale conseguenza fu lo sviluppo del parlare della realtà sociale tramite un linguaggio mutuato dalla matematica e dalla statistica: il linguaggio delle variabili (Lazarsfeld) → ogni oggetto sociale viene definito tramite delle variabili (attributi e proprietà) e a queste ridotto; i fenomeni sociali analizzati in termini di relazioni tra le variabili. La variabile con i sui caratteri di neutralità, oggettività e operativizzabilità matematica, diventava la protagonista dell’analisi sociale, senza bisogno di una ricomposizione unitaria dell’individuo originario. La ricerca sociale è quindi spersonalizzata e il linguaggio delle variabili offriva uno strumento formale che permetteva di andare oltre il linguaggio quotidiano notoriamente vago.
All’origine della nuova atmosfera filosofica-scientifica vi sono innanzitutto alcuni sviluppi delle scienze naturali e in particolare della fisica con il passaggio da quella classica a quella quantistica. Secondo la meccanica quantistica, infatti, vi sono dei processi della fisica elementare che non sono analizzabili secondo i tradizionali meccanismi causali poiché si tratta di fatti assolutamente imprevedibili governati da leggi probabilistiche → tramonta l’ideale della scienza come sistema compiuto di verità necessarie: alla legge deterministica si sostituisce quella probabilistica e se ciò è vero per il mondo naturale, lo sarà ancor di più per quello sociale.
La categoria di falsificabilità viene assunta come criterio di validazione empirica di una teoria o ipotesi teorica: il cnf tra teoria e ritrovato empirico non può avvenire in positivo bensì solo in negativo con la non falsificazione della teoria da parte dei dati.
Da questa impostazione deriva un senso di provvisorietà di ogni ipotesi teorica, mai definitivamente valida e sempre esposta alla mannaia di una possibile falsificazione. Infine è venuta affermandosi la convinzione che l’osservazione empirica, la stessa percezione della realtà non è una fotografia oggettiva ma dipende dalla teoria nel senso che anche la semplice registrazione della realtà dipende dalla finestra mentale del ricercatore.
Post-positivismo:
ontologia: realismo critico. Esiste una realtà esterna ma essa è solo parzialmente conoscibile poiché le sue leggi hanno carattere probabilistico.
Epistemologia: dualismo-oggettività modificati; leggi di medio raggio, probabilistiche, provvisorie. L’oggettività della conoscenza rimane l’obiettivo ideale ma può essere raggiunto solo in maniera approssimata. Nel processo conoscitivo viene valorizzato il modo di procedere della deduzione mediante la falsificazione delle ipotesi. Le leggi a cui si vuole arrivare sono limitate nella portata, probabilistiche nella loro cogenza e provvisorie nel tempo.
Metodologia: sperimentale-manipolativa modificata. Le fasi operative sono ispirate da un sostanziale distacco tra ricercatore e oggetto studiato ma vi è una apertura ai metodi qualitativi.
INTERPRETATIVISMO
Si fa risalire al filosofo tedesco Dilthey la prima formulazione critica nei cnf dello scientismo comtiamo nel nome dell’autonomia (= non omologabilità alle scienze naturali) delle scienze umane. In l’introduzione alle scienze dello spirito (1883) opera una distinzione tra SCIENZA DELLA NATURA e SCIENZE DELLO SPIRITO, fondandone la diversità nel rapporto che si instaura tra ricercatore e realtà studiata:
l’oggetto delle scienze della natura è costituito da una realtà esterna all’uomo e che tale resta nel processo conoscitivo, il quale assume le forme della spiegazione;
l’oggetto delle scienze dello spirito, non essendoci distacco tra osservatore e realtà studiata, nel processo conoscitivo assume le forme della comprensione.
Lo studioso tedescoo Windelband, negli stessi anni, introduce la separazione tra SCIENE NOMOTETICHE (= finalizzate all’individuazione di leggi generali) e SCIENZE IDIOGRAFICHE (= orientate a cogliere l’individualità dei fenomeni, la loro unicità e irripetibilità).
Max Weber
Con Max Weber questa nuova prospettiva entra a pieno titolo nel campo della sociologia. Egli trasporta il concetto di Verstehen all’interno della sociologia, rivedendo l’impostazione originale di Dilthey. Weber vuole infatti salvare l’ogettività della scienze sociale sia in termini di avalutatività (indipendenza da giudizi di valore) sia in quelli della possibilità di arrivare ad enunciati aventi un qualche carattere di generalità, pur partendo da un orientamento verso l’individualità.
Per Weber è necessario che le scienze storico sociali siano libere da qualsiasi giudizio di valore. La loro avalutatività è un caposaldo irrinunciabile. Tuttavia non si può impedire che questi giudizi di valore intervengano in senso orientativo nei cnf della ricerca: i valori restano presenti nella scelta dei problemi da studiare → Weber si ricollega alla distinzione tra giudizio di valore e relazione di valore: la relazione di valore è un principio di scelta e non di valutazione poiché serve a stabilire un campo di ricerca ove l’indagine procede in maniera oggettiva per giungere ad una spiegazione causale dei fenomeni. Essa designa la particolare direzione dell’interesse conoscitivo.
Per Weber le scienze sociali si distinguono dalle naturali per il loro orientamento verso l’individualità, orientamento che è in primo luogo di metodo. Per metodo intende quello di comprendere: una comprensione razionale delle motivazioni dell’agire. Non intuizione ma interpretazione ed anche la componente di immedesimazionoe nell’altro, presente nel Verstehen, è finalizzata ad un atto di interpretazione razionale, immedesimarsi per capire.
Ma se il punto di partenza è l’individuo ed il senso soggettivo della sua azione, come si può giungere ad una conoscenza oggettiva con i caratteri della generalità? Weber introduce i tipi ideali: delle forme dell’agire sociale che possono venire riscontrate in maniera ricorrente nel modo di comportarsi degli individui. Una astrazione che nasce dalla rivelazione empirica di uniformità. Un puro concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico.
Tali tipi sono ideali poiché costruzioni mentali dell’uomo e svolgono una funzione euristica perchè ne indirizzano la conoscenza. Le uniformità che il ricercatore persegue e individua nella sua interpretazione della realtà sociale non sono LEGGI ma ENUNCIATI DI POSSIBILITÀ (se accade A il più delle volte si verifica B).
questione ontologica: costruttivismo e relativismo (realtà multiple). Il mondo conoscibile è quello del significato attribuito dagli individui. Esistono molteplici realtà in quanto molteplici e diverse sono le prospettive con cui gli uomini vedono e interpretano i fatti sociali.
Questione epistemologica: non dualismo e non oggettività, tipi ideali, enunciati di possibilità. La ricerca sociale viene definita come una scienza interpretativa in cerca di significato e non una sperimentale in cerca di leggi.
Questione metodologica: interazione empatica tra studioso e studiato.
RADICALIZZAZIONI, CRITICHE E TENDENZE RECENTI
paradigma postivista: la radicalizzazione di questa tendenza ha portato ad un empirismo antispeculativo, dominato dal mito del metodo e infine dal mito del dato, dove lo scopo dello scienziato sociale non è più quello di formulare e validare empiricamente le teorie quanto di raccogliere e descrivere i dai nell’ingenua illusione che essi parlino da sé. Un riduzionismo che ha attraversato varie fasi:
accentuazione dell’ars probabandi (= problemi di verifica e conferma delle ipotesi) a scapito dell’ars inveniendi (= approfondimento del contesto delle scoperte).
Spostamento dell’attenzione dal contenuto al metodo.
Spostamento dell’attenzione dal metodo al dato.
Con risultato una congerie sterminata di dati minuziosamente rilevati, misurati e classificati ma non coordinati tra loro ed incapaci di rendere una conoscenza adeguata dell’oggetto cui nominalmente si riferiscono.
Paradigma interpretativista: la radicalizzazione, specie a partire dagli anni ’60, ha portato all’esclusione della possibilità stessa di esistenza della scienza sociale. Il fatto che vi sia sempre qualcosa di unico nell’azione umana e la sua irriducibilità a componenti sociali esterne all’individuo nega la possibilità di andare oltre la persona. Inoltre, sempre a causa della sua centratura sull’individuo, tale approccio viene accusato di escludere dai propri interessi quelli che dovrebbero essere per eccellenza gli oggetti della riflessione sociologica ossia le istituzioni.
L’ulitmo quarto del XX secolo ha rappresentato un periodo di sfida nella storia della ricerca sociale. Oltre alle macro prospettive, sviluppatesi vigorosamente negli anni ’60, prese a svilupparsi anche la microsociologia e questa linea di abbandonoo delle grandi prospettive teoriche e delle spiegazioni di carattere generale portò con sé anche i primi germi di una critica generalizzata verso ogni tipo di spiegazione teorica e la messa in discussione della sociologia come scienza. Una tendenza che si è radicalizzata negli anni 90 in un movimento intellettuale dai vari e confusi caratteri che talvolta viene sintetizzato come POSTMODERNISMO.
Tale movimento contesta il modernismo come diretto erede dell’illuminismo:
rifiuto di teorie generali, accusate di totalitarismo omogeneizzante, di imperialismo culturale della cultura occidentale;
rifiuto della razionalità a favore del paradosso, della contraddizione e della opacità
esaltazione delle differenze
esaltazione dell’altro, del diverso, delle minoranze, identificazione con gli oppressi, assunzione del potere come categoria esplicativa posta a fondamento di tutte le realzioni e le strutture sociali.