Le autonomie territoriali- cap. IX
1. Dal sistema prefettizio alla Repubblica delle autonomie
- Il tema del regionalismo, ricorre sin dall’unificazione del regno. Ma, esso ha acquisito particolare rilevanza, soprattutto dopo la 2° G.M. in virtù dell’acquisita consapevolezza dell’inidoneità dello stato ad assicurare il soddisfacimento dei diversi interessi che si esprimono nei vari livelli territoriali.
- Nelle + importanti esperienze costituzionali contemporanee, infatti, lo Stato non è + l’unico titolare del potere di normazione, imponendosi una distribuzione delle competenze legislative e delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo, secondo un criterio di allocazione del compito di rispondere ai bisogni sociali nell’ambito territoriale.
- In Italia, l’istanza autonomistico-territorale odierna è il frutto di un lungo processo:
- Le prime iniziative regionaliste, subito dopo l’unificazione, miravano ad un decentramento delle funzioni statali:
– durante il primo governo Cavour, prima Farini e poi Minghetti, ministri dell’interno, elaborarono progetti che prevedevano l’istituzione dell’ente REGIONE, concepito però come circoscrizione di decentramento amministrativo. Ma i progetti governativi, avversati dalla Camera, vennero ritirati durante il governo Ricasoli, succ. a qll di Cavour.
– Come rilevato dagli storici “lo sviluppo del decentramento fu arrestato dal prorompere della questione meridionale e dalla mancanza di un tessuto sociale idoneo all’autogoverno”.
Si apriva la strada alla c.d. piemontesizzazione dell’Italia, con l’estensione a tutto il Regno della legislazione sarda nel ’59 sull’ammin. locale. Un sistema definito prefettizio, ove l’amm. centrale esercitava il controllo sugli enti locali, con una rete di organi, con a capo il Prefetto:
– In base alla l.n.2246/1865, era il diretto rapp. del governo centrale nella provincia in tutti i settori della p.a. eccetto quello della difesa e della giustizia; presidente della deputazione provinciale (organo esecutivo della Provincia).
– Il sindaco, nominato dal re ma, di fatto, scelto dal prefetto, operava a livello comunale, quale rapp. della comunità , ma esercitava anche funzioni statuali, quali la tenuta dei registri delle liste elett. Politic.
– Il re poteva “per gravi motivi di ordine pubblico” sciogliere i consigli comunali e provinciali.
Una nuovo slancio regionalista si ebbe con Stefano Jacini, dopo le politiche del ’65, il quale prese corpo nel 1870 a Firenze: Idea di costituire Regioni aventi competenze su determinate materie, lasciando allo stato la cura delle “questioni nazionali”. Anche questo progetto non ebbe seguito:
– Per la paura di comportare pericoli all’unità statale.
– Per paura di moltiplicazione degli enti pubblici e di una centralizzazione amministrativa a scapito delle autonomie già esistenti.
2. Dopo la 2° G.M., sia per il c.d. fattore geografico (particolare conformazione della penisola italiana) sia per il c.d. fattore storico (collegato al fatto delle dominazioni straniere e delle frammentazioni nel ns paese) l’istanza regionalista, specie nelle regioni di confine e nelle isole, finଠper tradursi in istanza separatista. Dal 1944 il Governo Badoglio, per contrastare la spinta separatista:
– Venne creta una consulta rappresentativa delle forze locali per la Sardegna.
– Con r.d.lgs 1946, con rapida approvazione, lo statuto siciliano.
– Nel 1945, riconobbe la Val d’Aosta, quale circoscrizione autonoma retta da un Consiglio ed una Giunta, dotata di proprie funzioni amministrative.
– Nel 1946 l’Alto Adige, quale titolare di potestà legislativa e amministrativa, in forza dell’accordo italo-austriaco De Gasperi-Gruber.
Gli speciali ordinamenti autonomi verranno confermati dall’Assemblea Costituente con l’approvazione di 4 leggi costituzionali contenenti gli statuti speciali della Regione Siciliana, della Sardegna, della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige. Tali regioni (più il Friuli, l.cost.1963) dispongono, in virtù dell’art. 116 Cost., “di forme e condizioni particolari di autonomia” secondo i rispettivi statuti speciali, adottati con legge costituzionale.
3. Nella Costituzione repubblicana trova una concreta traduzione l’istanza autonomistico-territoriale:
– Nel riconoscimento di una particolare autonomia alle regioni sopra elencate
–Nella previsioni di ulteriori 14 regioni ordinarie (15 con il Molise, nel 1963).
Tuttavia, nonostante la VIII disposizione transitoria prevedesse l’indizione delle elezioni dei Consigli regionali, che avrebbero dovuto operare secondo le disposizioni del titolo V della costituzione, entro un anno dall’entrata in vigore della stessa le Regioni ordinarie vennero istituite solo nel 1970, (in base alle l.elettorale n.108/1968 e all’entrata in vigore della c.d. legge finanziaria n.281/1970 si svolsero le prime elezioni dei cons. reg. nel giugno del ’70).
Il dibattitito sul regionalismo in Assemblea Costituente di incentrò non tanto sull’an ma sul quantum di autonomia che alle Regioni sarebbe dovuto aspettare. La scelta fu quella di:
- Privilegiare una competenza concorrente delle Regioni che sarebbero potute intervenire in forma legislativa in una serie di materie elencate dalla costituzione, “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti da legge dello Stato” e purchè con norme “non in contrasto con l’interesse nazionale o di altre regioni”.
- Riconoscere potestà piena od esclusiva alle sole regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano, con rifer. a materie indicate nei rispettivi statuti-
- Dare una competenza attuativo-integrativa alle Regioni ordinarie, sulla base di singole attribuzioni singolarmente operate da leggi statali e alle regioni a statuto speciale, tranne la Sicilia, alle quali spettava istituzionalmente e sopra materie predeterminate dagli statuti.
Dunque, l’autonomia trovava espressione nella forma ordinaria della competenza legislativa.
In campo amministrativo:
- Con il riconoscimento del principio del parallelismo nelle stesse materie in cui le Regioni avevano potestà legislativa ad esse venivano attribuite le funioni amministr.. (art.118, originaria formulazione)
- Lo Stato avrebbe potuto delegare alle regioni l’esercizio di altre funzioni amministrative come pure attribuirne alle province, ai comuni o ad altri enti locali, nell’ambito delle materie ex art.117, in caso di interessi “elusivamente locali”.
- La regione avrebbe dovuto esercitare normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici.
In campo finanziario:
- In base all’art 119 si attribuiva alle Regioni un’autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle province e dei comuni.
Il quadro nel quale le istanze regionaliste venivano recepite nella Cost. repub. era quello dello Stato unitario il cui riconoscimento veniva espresso nella formula dell’unità ed indivisibilità della Repubblica elevata a principio fondamentale. Ma, entro questo quadro, la Cost. ha innovato l’assetto delle istituzioni politiche Riconoscendo il pluralismo politico istituzionale.
Pertanto, la Repubblica unica ed indivisibile (art.5):
- riconosce e promuove le autonomie locali
- attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo
- adegua i principi e metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Tuttavia, la preminenza dell’ordinamento statuale sulle autonomie, risultava confermata dalla originaria formulazione dell’art. 114 Cost. che, aprendo il Titolo V, sanciva che la Repubblica si diparte in Regioni, province e comuni”; in tal modo, infatti, si perpetuava quella logica assolutistica e sospettosa delle autonomie. Quindi, la Costituzione repubblicana non sembrava ancora fornire strumenti adeguati al fine di garantire le autonomie nei cnf del potere statale, di fatto lasciando a quest’ultimo la possibilità di occupare spazi che sembravano devoluti ad altri livelli di governo.
Bisogna, però, sottolineare come la flessibilità del dettato costituzionale abbia reso possibile evoluzioni legislative, a costituzione invariata, di segno opposto:
–con la l.n.142/1990, recante il nuovo ordinamento delle autonomie locali, si è previsto il riconoscimento a comuni e province di funzioni proprie e di specifiche potestà normative
– con la c.d. legge Bassanini è stato, tra l’altro, disposto il ribaltamento della tecnica di riparto delle competenze tra centro e periferia, riconoscendo alle autonomie locali tutte le funzioni e i compiti amministrativi non riservati espressamente dalla legge medesima allo Stato.
4. Con la Riforma del Titolo V, parte seconda (l.cost.n.3/2001) si è inciso profondamente sull’assetto delle istituzioni politiche, accentuando i caratteri del pluralismo politico istituzionale. Basti pensare che la nuova formulazione dell’art. 114 dispone che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”; pertanto:
– Comuni, province, città metropolitane e regioni sono considerati, insieme allo stato, enti costitutivi dell’ordinamento repubblicano e come enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione
– Ma, come ribadito dalla sent. n.274/2003 C.Cost., non si ha una totale equiparazione fra gli enti indicati nell’art.114, che ancor oggi dispongono di poteri profondamente diversi tra loro.
2.Il riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali
L’accrescimento dell’autonomia spettante alle autonomie territoriali, nel nuovo Titolo V, si esprime:
- Attraverso il riconoscimento in capo ad esse della potestà statuaria
- Nelle profonde modifiche che hanno riguardato il riparto di competenze legislative e amministrative tra lo Stato e gli altri enti territoriali.
In campo legislativo:
Dalla lettura del nuovo art.117 emerge:
- La volontà di realizzare una equiparazione tra il tipo legge regionale e il tipo legge statale, prevedendo per entrambi i medesimi limiti.
- L’intervenuto capovolgimento del criterio di ripartizione della potestà legislativa rispetto alla originaria formulazione, per cui oggi sono enumerate:
– le materie la cui disciplina è demandata alla competenza esclusiva dello Stato
– quelle attribuite alla legislazione concorrente di Stato e Regioni
ed è previsto che spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
- Ai comuni, province e alle città metropolitane spetta la potestà regolamentare per la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
- Al fine di un miglior esercizio delle funzioni regionali, queste possono esser svolte in collaborazione o in comune con altre regioni, sulla base di intese ratificate con legge regionale
In campo amministrativo:
Significative modifiche hanno segnato il riparto delle funzioni amministrative, per effetto dell’abbandono del principio del parallelismo. Il nuovo art.118 dispone, infatti, che “le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà , differenziazione e adeguatezza”.
Il capovolgimento dei criteri tradizionali di ripartizione delle funzioni amministrative segue la linea della attribuzioni tendenziale delle suddette funzioni in capo all’ente territorialmente più prossimo ai cittadini, il Comune, salva la possibilità di una allocazione in base a quei principi, già previsti dalla legislazione ordinaria, che impongono di attribuire funzioni amministrative al livello istituzionale più decentrato possibile, purchè ciò sia compatibile con l’esigenza:
- Di assicurare l’efficienza e l’effettività dell’azione dei pubb. poteri (sussidiarietà verticale)
- Di considerare le diverse caratteristiche degli enti nell’allocazione delle funzioni (differenz.)
- Di tener conto dell’idoneità organizzativa delle amministrazioni a garantire l’esercizio delle funzioni, se del caso anche in forma associata con altri enti (adeguatezza)
- Di favorire l’avvicinamento del cittadino all’amministrazione attraverso l’autonoma iniziativa degli stessi, per lo svolgimento di attività di interesse generale (sussidiarietà orizzontale).
N.B. L’introduzione del principio di sussidiarietà verticale ha determinato conseguenze anche sul modo stesso di intendere il riparto delle competenze legislative:
–la corte costituzionale ha ritenuto che, ex art.118,1°, sia stato introdotto un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida la stessa distribuzione delle competenze legislative (sen.303/2003).
– Ove lo Stato avochi a sè, per sussidiarietà , funzioni amministrative che non possano adeguatamente ed efficacemente essere esercitate ad altri livelli di Governo, devono essere regolate ed organizzate dalla legge statale (sussidiarità legislativa), anche oltre l’ambito del rigido riparto di competenze prefigurato nell’art.117.
– In tali ipotesi queste leggi dovranno essere sottoposto ad uno scrutinio stretto da parte della Corte Cost. per verificarne la ragionevolezza e la proporzionalità , nonchè il raggiungimento dell’intesa con la regione interessata.
Per ciò che concerne le Regioni speciali:
- il legislatore ha previsto l’allineamento delle competenze in modo che sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni ex Titolo V che prevedano forme di autonomia più ampie rispetto quelle già attribuite, si applichino anche alle Regioni speciali ed alle province autonome.
- In base al nuovo art.116 le ragioni già a statuto speciale, conservano forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i loro statuti speciali, adottati con l.costituzionale.
- La speciale autonomia delle province autonome è espressamente prevista ex art.116,2°.